Teatro

Il futuro del teatro è nel marketing

Il futuro del teatro è nel marketing

La finalità dell’Ente Teatrale Italiano non può limitarsi alla gestione dei teatri e alla programmazione, secondo il Presidente Giuseppe Ferrazza (nella foto), che valutando i progressi dell’ultima stagione non rinuncia a ipotizzare un futuro diverso in cui si possa finalmente attuare una capillare promozione dello spettacolo dal vivo.

Il teatro pubblico ha il compito di distinguersi dalle strutture private per la capacità di risolvere i problemi più scottanti del settore. Archiviando le attività del 2005-06 con una vistosa ripresa dell’affluenza del pubblico al Valle e con presenze stabili al Quirino, si punta per i prossimi cartelloni su una distinzione fra i due spazi capitolini, con il Valle eletto a sede privilegiata della drammaturgia italiana contemporanea e il Quirino improntato al collaudato repertorio d’interprete.

Per l’avvenire Ferrazza intende organizzare un grande festival dedicato agli autori e trasformare il Quirino in una sorta di teatro degli artisti con progetti speciali.

Come è andata la stagione 2005-06?
«Il Valle ha registrato un incremento rispetto agli anni passati grazie soprattutto ai successi di "Due partite", scritto e diretto da Cristina Comencini, del pirandelliano "Sei personaggi in cerca d’autore", e dell’"Arlecchino servitore di due padroni" di Goldoni riproposto nell’edizione firmata da Strehler. Il Quirino, invece, ha soltanto mantenuto le posizioni e su questo teatro ho intenzione di lavorare molto in quanto su 800 posti dalla buona visibilità si riescono a vendere un massimo di 500 biglietti. Ritengo, infatti, che sia urgente agire sul piano del marketing perché non basta la qualità del cartellone per garantire un’adeguata quantità di spettatori».

Quali criteri hanno ispirato i nuovi cartelloni?
«L’obiettivo principale era destare maggiore curiosità possibile per un pubblico sempre più desideroso di novità. Da "Il Gattopardo” con Luca Barbareschi a "Il metodo Gronholm" con Nicoletta Braschi, da «Blackbird» con Claudia Gerini al divertente «Opera Comique» diretto da Antonio Calenda, con la storia inventata di Rossini a Parigi si viaggia tra volti noti e idee inconsuete».

È soddisfatto dei risultati raggiunti dall’Eti?
«Lo scopo di un’istituzione come questa dovrebbe consistere in tutt’altro che nella gestione dei teatri: la programmazione, infatti, esaurisce attualmente tutte le risorse a disposizione e non permette ulteriori investimenti. Siamo però un ente pubblico che per statuto dovrebbe promuovere il teatro in senso ampio e completo. Le difficoltà economiche, i cambi di governo e di ministro ci impediscono di intervenire in maniera efficace. Manca del resto un input politico valido e credibile e ora abbiamo ragione di sperare nel sottosegretario allo spettacolo Elena Montecchio, una persona che non lascia nulla al caso e approfondisce con serietà».

Cosa le piacerebbe modificare rispetto al presente?
«L’idea è il ritorno a un ruolo più consono a una dimensione pubblica. L’Eti dovrebbe diventare un’antenna per cogliere i problemi del teatro italiano, un punto di riferimento per le informazioni relative alle iniziative sceniche, un luogo deputato allo sviluppo della drammaturgia contemporanea nazionale. Il pubblico è educato male: cerca solo i classici e l’evasione. Il teatro italiano è troppo centrato sull’attore e sulla regia e troppo poco d’autore. Nessuno vuole rischiare e si rimane fermi all’incasso garantito e agli interpreti di richiamo. Ogni teatro dovrebbe avere una sua specificità per costruire un valido sistema cittadino».